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SulmonaCinema 30 |
Scritto da Stefano Coccia | |
Sunday 17 February 2013 | |
I migliori film visti in occasione del 30° SulmonaCinema Film Festival: Pinuccio Lovero – Yes I can, Acciaio, Angels of Rock’n’Roll, Che cos'è un Manrico e tanti altri...
[Cover: Angels of Rock’n’Roll di Massimo Monacelli]
INTRODUZIONE
Ebbene, per quanto il numero di eventi sia stato in qualche modo ridimensionato, quest’interminabile anno di fosche profezie e di reali salassi, con cui si è attentato alla sicurezza economica degli italiani, ha visto concretizzarsi ancora una volta il miracolo: la presidenza del volitivo Marco Maiorano e le scelte artistiche di Roberto Silvestri hanno fatto sì che tale manifestazione culturale non solo sopravvivesse, ma ci riuscisse attraverso un programma indubbiamente creativo e attento alle migliori proposte della produzione cinematografica più libera e indipendente. Fiore all’occhiello, come sempre, il concorso, che quest’anno vedeva ai blocchi di partenza otto titoli. Uno in particolare sembra aver catalizzato le preferenze della giuria, composta da giovani e presieduta da Luigi Lo Cascio e Renato de Maria: The shine of day di Tizza Covi e Rainer Frimmel, esempio perfetto di prodotto culturale fondamentalmente estraneo alle logiche narrative e ai percorsi distributivi del cinema mainstream, ma ad ogni modo capace di emozionare un pubblico desideroso di nuovi sguardi, tramite storie e personaggi di indubbio spessore umano. Prima di analizzare dettagliatamente alcuni dei film visionati a Sulmona, due parole sul resto del programma, che pur con le limitazioni di cui sopra ha saputo regalare momenti di riflessione per niente trascurabili, soprattutto per quanto riguarda l’evoluzione del linguaggio cinematografico e le tensioni etiche che accompagnano tale processo. La presenza in giuria del bravo e cortese Lo Cascio è sembrata ad esempio catalizzare, complice la riproposizione in pellicola dell’indimenticabile I cento passi di Marco Tullio Giordana, un discorso sulla lotta alle mafie e ai poteri forti, che proprio dal sofferto ricordo di Peppino Impastato può prendere il via. E in tal senso la sezione “La règle du Jeu - Cinema contro la mafia” ha regalato validissimi spazi di riflessione, insieme alla scoperta di operazioni cinematografiche belle e coraggiose come Munnizza di Licio Esposito, Schiaffo alla mafia di Stefania Casini e Un mito antropologico televisivo, formidabile documentario realizzato dal collettivo Malastrada. Sempre a proposito di documentari, forte impressione ha destato la proiezione de Il pranzo di Natale, sia per l’attualità del lavoro in sé (di cui discuteremo più avanti, nella recensione), sia per il workshop organizzato a Sulmona grazie alla presenza della regista Antonietta De Lillo. Con l’apporto della giornalista Anna Maria Pasetti, intervenuta a sostegno dell’iniziativa, la De Lillo ha spiegato la sua idea di “Film partecipato” che ha già portato alla realizzazione di tale documentario e che prosegue ora con nuovi progetti, sempre focalizzati sulla raccolta di materiali audiovisivi girati da autori diversi ma seguendo l’impronta di un progetto comune. Tutto ciò spiegato ora, da noi, in sintesi estrema e con una certa approssimazione, mentre chi ha seguito gli incontri con Antonietta De Lillo ha potuto familiarizzare ulteriormente con gli orizzonti aperti da queste differenti modalità produttive.
I PREMIMIGLIOR FILM: The shine of day di Tizza Covi e Rainer Frimmel “per l’elegante contaminazione tra osservazione del reale e messa in scena finzionale. Un film che si distingue per l’armoniosa esplorazione di un delicato universo emotivo”. MIGLIORE REGIA: Antonio Morabito per Che cos’è un Manrico “per la capacità di testimoniare l’intimità di una relazione attraverso uno sguardo complice, partecipe e mai invadente”. MIGLIOR INTERPRETAZIONE FEMMINILE: Anna Bellezza e Matilde Giannini in Acciaio di Stefano Mordini “per la sorprendente spontaneità dimostrata davanti alla macchina da presa e la credibile interpretazione di una fase delicata dell’adolescenza”. MIGLIOR INTERPRETAZIONE MASCHILE: Walter Saabel in The shine of day di Tizza Covi e Rainer Frimmel “per l’equilibrio dimostrato nell’interpretare un personaggio in bilico tra realtà e finzione”. PREMIO SOUNDTRACK: a Zende Music per la colonna sonora di The golden temple di Enrico Masi film che nella veste di documentario affronta temi di ampio respiro e coinvolge emotivamente nella trama più di finzione. La colonna sonora fa parte di questo discorso plurilivellare, compiendo in pieno il suo ruolo funzionale, risultando per cui quasi “ideale” nel suo essere al contempo discreta e compatta.
I FILM
Pinuccio Lovero – Yes I canRegia: Pippo Mezzapesa Un fan di Star Wars quasi sicuramente direbbe: Pinuccio Lovero Strikes Back. Un fan del wrestling lo avrebbe già ribattezzato “The Undertaker”. Ma è il parallelismo con Guerre Stellari quello più appropriato, considerando come Pippo Mezzapesa abbia già reso protagonista questo irresistibile becchino (o anche operatore cimiteriale, per usare un termine a lui più gradito) di una piccola saga: dopo Pinuccio Lovero - Sogno di una morte di mezza estate ecco arrivare Pinuccio Lovero – Yes I can, il film della svolta. Una svolta a livello politico, per dirla tutta. Dopo essere sbarcato nel più importante festival italiano col precedente documentario, accompagnato dal geniale slogan “Riporterò la morte a Venezia”, il becchino più famoso di tutte le Puglie torna sul grande schermo con slogan di tutt’altra natura, tipo quel “Pensa al tuo domani” impresso sui volantini, alquanto pittoreschi, approntati con un linguaggio da pompe funebri per le locali elezioni. Già, perché nella Puglia governata dal teorico alquanto allegrotto del socialismo in una sola regione, mister Nichi Vendola, c’è spazio persino per chi sembra focalizzare l’intera campagna elettorale sul rinnovamento di loculi, ossari e fontanelle ove rinfrescare i fiori. Candidato nelle liste di SEL alle amministrative di Bitonto, provincia di Bari, questo novello eroe popolare si ritrova così a passare dal silenzio delle tombe alla questua dei voti e al trambusto dei comizi pubblici. Un passaggio a dir poco traumatico. L’autore, Pippo Mezzapesa, a volte gioca un po’ troppo col carattere istrionico e fondamentalmente ingenuo del suo protagonista, ma al contempo è abile nel non far pesare troppo sulle sue spalle la responsabilità del film: complice un approccio registico e fotografico estremamente curato, è il contesto a salire spesso in primo piano, con altri candidati non meno folkloristici, stralunati, che si presentano con una certa enfasi davanti alla macchina da presa. Pescando in mezzo alle varie figure incastonate tra una dimensione grottesca e certi malinconici quadretti di provincia, indimenticabile resta quella del falconiere impiegato presso l’aeroporto, col rapace che quasi gli si ribella durante quel piccolo e improvvisato spot elettorale.
AcciaioRegia: Stefano Mordini In certi casi occorre sbilanciarsi: nel 2012 Acciaio è stato per noi, in assoluto, uno dei migliori film italiani dell’annata. Forse addirittura il migliore, se si considera l’intelligenza con cui il sostrato sociale dell’opera si fonde con molteplici piste narrative, non tutte interamente sviluppate ma di certo assai stimolanti, in particolare quelle focalizzate sui turbamenti adolescenziali delle due ragazzine protagoniste. E la sorpresa è ancora più grossa, se si considerata che il precedente lungometraggio di fiction diretto da Stefano Mordini, Provincia meccanica, ci era parso invero assai raffazzonato. Qui invece Mordini, film-maker dagli ottimi trascorsi come documentarista, si è saputo lasciar andare con una scioltezza di gran lunga maggiore, prodigandosi in validissime descrizioni d’ambiente che fanno da sfondo ai movimenti di personaggi quanto mai vivi, genuini, naturali, credibili nelle loro spesso sofferte interazioni personali. Da un lato Piombino con la vita di fabbrica, con le acciaierie in procinto di licenziare dove gli operai, specie le ultimissime generazioni, cadono in preda della disillusione e fanno fatica a sviluppare una rete solidale. Dall’altro lato il miraggio dell’Isola d’Elba, il mare, quel mondo incantato dove anche due adolescenti cresciute troppo presto come Anna e Francesca (straordinaria qui la prova delle giovanissime Matilde Giannini e Anna Bellezza) riescono, ogni tanto, ad affogare le ansie tipiche della loro età. Sul piano cinematografico tale polarità, affrescata in primis da Silvia Avallone nel suo fortunato romanzo, è stata risolta brillantemente da uno Stefano Mordini capace di far pulsare di vita autentica gli ambienti attraversati dai personaggi, ambienti in cui le geometrie degli sguardi e le prossemiche riguardanti i corpi tracciano traiettorie vertiginose. E la lunga sequenza della pista di pattinaggio, in tal senso, è un piccolo capolavoro d’intensità.
Padroni di casaRegia: Edoardo Gabbriellini La faccia pulita e magari un po’ “piaciona” di Gianni Morandi può nascondere ombre incredibilmente sinistre. Volendo è questa, in un film comunque riuscito come Padroni di casa, l’intuizione davvero geniale. Grazie anche all’estrema disponibilità del cantante, capace con lucida auto-ironia di sporcare il ricordo dei tanti “musicarelli” interpretati in gioventù, così da parafrasare il mito della propria popolarità attraverso una grottesca variazione sul tema, Edoardo Gabbriellini è riuscito a concepire uno dei più lividi e amari ritratti della provincia italiana visti recentemente al cinema. Livornese segnalatosi prima come attore e poi come regista, Gabbriellini aveva ben impressionato anche col suo eccentrico esordio alla regia, B.B. e il cormorano. Ma è con Padroni di casa che è avvenuto un indubbio salto di qualità. Lanciato come attore da Paolo Virzì, l’ancor giovane cineasta ha dimostrato un’analoga padronanza del set, esemplificata dal modo in cui è stato gestito un cast nel quale compaiono altri nomi eccellenti: oltre a Morandi, vi sono infatti Valerio Mastandrea, Elio Germano e Valeria Bruni Tedeschi. Quest’ultima è Moira, moglie del divo semi-paralizzata per colpa di una terribile patologia. Mentre invece gli ispiratissimi Germano e Mastandrea interpretano una coppia di operai, sopraggiunta nel paesino appenninico dove vive il cantante Fausto Mieli, alias Gianni Morandi, per compiere alcuni lavori sul terrazzo della sua villetta. A surriscaldare l’atmosfera saranno un po’ l’autocompiacimento e la sottile arroganza del popolare cantante, un po’ la reazione alle nuove presenze esibita dai locali, la cui ostilità possiede qualcosa di para-leghista mischiato con tensioni stile Un tranquillo weekend di paura. Scorie di far west italico preparano il terreno alla sorprendente escalation di questa tragicommedia, via via più disturbante. E il finale alla Cane di paglia può quindi lasciare di sasso.
Angels of Rock’n’RollRegia: Massimo Monacelli Un musical muto a colori. Con una definizione del genere, come fare a non innamorarsi in partenza del film di Massimo Monacelli? E dopo averlo visto e rivisto ce ne siamo innamorati sul serio. A Sulmona, tra le diverse proposte del concorso, Angels of Rock’n’Roll si è rivelata senz’altro quella più trasgressiva, forte di un’anarchia stilistica e concettuale talmente fuori dagli schemi da farci attribuire al film, senza ombra di dubbio, la palma del progetto più Bizzarro in assoluto. Psichedelia pura. Cromatismi esasperati. Attori spinti a fare i mimi. Segmenti di rudimentale animazione. Musiche travolgenti, selezionate pescando nel repertorio di alcune delle band “indie rock” più curiose e interessanti dell’underground italico. Humour surreale di ascendenza anglosassone. Voci distorte alla Antonio Rezza. Trama forsennata che ingloba divinità eccentriche e annoiate, trasmissioni televisive in diretta dall’Olimpo, contorti tunnel spazio-temporali ed eventi apocalittici all’orizzonte. Di carne al fuoco Massimo Monacelli ne ha messa davvero parecchia, ma la ricetta ultra-pop con cui ha scelto di servirla in tavola è di certo l’ideale, per un divertissement originale, coloratissimo, divertente, folle e simpaticamente sgangherato come questo. Alcuni frangenti potranno al limite risultare un po’ troppo insistiti, ripetitivi, ma ci si affeziona ugualmente alla missione dei tre angeli dalle grottesche e improbabili sembianze, spediti da Zeus sulla Terra per evitare la catastrofe. E in quale evento dal sapore catartico ci si imbatterà, giunti alla fine dell’avventura? Ma in una scanzonata performance musicale inneggiante al rock’n’roll, ovviamente!
Che cos'è un ManricoRegia: Antonio Morabito Antonio Morabito, cineasta toscano scrupoloso e diligente che fino ad ora si è rapportato con molto tatto sia alla finzione cinematografica che al documentario, ha ora in produzione un lungometraggio di fiction che pare assai promettente: il titolo provvisorio è Il venditore di medicine, mentre i ruoli principali saranno ricoperti da Isabella Ferrari, Claudio Santamaria e Ignazio Oliva. Ad ogni modo, al SulmonaCinema il simpatico regista era in concorso grazie all’altra sua passione, il documentario. E se avevamo già ricordi positivi di tale propensione, per via di un lavoro sulla galassia anarchica decisamente ben fatto e intitolato Non son l’uno per cento, proprio come l’indimenticabile brano musicale, tale ricordo è uscito rafforzato dalla visione di Che cos'è un Manrico. Il merito del documentario è innanzitutto quello di raccontare senza odiosi pietismi ma con sensibilità e spigliatezza le giornate tipo di un malato di distrofia muscolare, per l’appunto Manrico, immobilizzato per gran parte del corpo e comunque in grado di ragionare con estrema lucidità sulla propria condizione e sulla vita in genere. Religione, eutanasia, sesso, sport, rapporti famigliari difficili e parecchi altri argomenti vengono affrontati senza peli sulla lingua, complice anche il rapporto estremamente schietto tra il protagonista e un giovane operatore della cooperativa che, in determinati momenti della giornata, gli offre assistenza. E Antonio Morabito con la macchina da presa riesce anche a catturare con naturalezza e senza alcuna morbosità frangenti delicati, come il lavaggio in terrazza, effettuato alla presenza di una nonna asfissiante e di una perplessa tartaruga.
I don’t speak very good, I dance better
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