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Looper |
Scritto da Emanuele Rauco | |
Thursday 14 February 2013 | |
►Rian Johnson rivede intelligentemente il noir in chiave sci-fi, grazie a un grande script e a un'attentissima regia...
RecensioneЀ il topos per eccellenza della fantascienza letteraria e cinematografica. Il viaggio nel tempo è uno di quegli elementi narrativi che subito aprono le porte dell'assoluto, dell'imprevisto, della possibiltà a qualunque racconto. Lo sa, e lo sfrutta benissimo, Rian Johnson, regista di abile mestiere che fa il salto nel cinema mainstream con il suo terzo film, Looper, interpretato da due divi come Bruce Willis e Joseph Gordon Levitt. Che interpretano lo stesso personaggio, Joe, uno nel 2044, l'altro 30 anni dopo. Qualcosa nel "sistema" s'inceppa e i due vengono a contatto, mettendo a rischio le proprie vite e compromettendo anche il futuro. Questa è solo una parte del complesso plot scritto dallo stesso Johnson, che man mano prende vie sempre meno prevedibili, aprendosi alla visione distopica. Ma il vero pregio di Looper è quello di saper riscrivere il genere noir declinandolo intelligentemente alla science-fiction, partendo dal paradosso temporale per eccellenza: se aveste la possibilità di tornare indietro e uccidere Hitler lo fareste? Aperto da un incipt di agghiacciante semplicità, Looper è un racconto stratificato che oltre a riflettere sull'essenza del tempo come ciclo infinito (appunto loop, in alternativa alla tradizionale considerazione del tempo come linea), si diverte a condurre lo spettatore attraverso un intreccio che man mano perde sempre più i contorni predefiniti per trasformarsi in una narrazione più epica. Il noir d'azione diventa sempre più cupo e disperato, si fa strada con forza una componente melodrammatica e sentimentale spiazzante, che sfocia in una resa dei conti aperta alla visionarietà e in un finale di struggente intimismo. Johnson si diverte, e lo fa con grande abilità, a ribaltare alcuni assunti consolidati: perciò rinchiude gran parte del film, soprattutto la seconda metà, in pochi ambienti, descrive il futuro con fattorie e campi di grano che paiono venire dal passato, dipinge la notte dei tempi con il sole della campagna permettendosi il lusso, assurdo a Hollywood, di mettere in scena l'uccisione dei bambini. Un film quindi sorprendente e appassionante che sa tramutarsi in varie cose, sa eccitare con l'azione ed emozionare con il sentimento: come un film di serie A dovrebbe sempre saper fare. Merito della regia molto attenta che sa come sfruttare la fotografia di Steve Yedline e il montagigo di Bob Ducsay, ma soprattutto di una sceneggiatura grandiosa nel comporre i piani temporali, nell'affrontarne i paradossi, nel raccontare storie differenti, dai toni quasi opposti, e amalgamarli con più convinzione rispetto a un kolossal come Cloud Atlas. Un film di genere tra i migliori usciti recentemente dalla mecca del cinema, teso e ricco di idee, appassionante e originale tanto da far riflettere persino sul rapporto tra madre e figlio, sfruttando al meglio un'attrice spesso male utilizzata come Emily Blunt. I due protagonisti si commentano da soli: Willis è garanzia assoluta anche quando i personaggi assumono sfumature più umane, Levitt lo studia come il primo della classe e sa rendere credibile anche un trucco così pesante. Intrattenimento, cuore e cervello: un'addizione ancora possibile. (Emanuele Rauco)
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