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Another Earth |
Scritto da Emanuele Rauco | |
Sunday 20 May 2012 | |
►Mike Cahill guarda alla fantascienza filosofica e al cinema di Lars Von Trier. Ma più che un film piscoanalitico, realizza un giochino troppo furbo e troppo ingenuo...
RecensioneIl dato che Another Earth, esordio nel cinema narrativo di Mike Cahill, sia stato realizzato prima (non molto e comunque a ridosso) di Melancholia di Von Trier è solo un indizio. Ma, come tale, indicativo di un approccio alla materia narrativa e a un cinema che vuole lo sguardo selezionato di un certo pubblico, quello che lo ha acclamato al Sundance Film Festival, di cui la pellicola è perfetta emanazione. Il pretesto è quello di una seconda Terra che viene individuata nella galassia terrestre e che si avvicina fino a sembrarne uno specchio. La storia è quella di Rhoda che, uscita di galera dopo aver ucciso accidentalmente una donna e il figlio in un incidente, si fa assumere dal vedovo per cercare di stabilire con lui un contatto. Scritto dallo stesso Cahill con la protagonista Brit Marling, è un dramma che guarda ad Isaac Asimov - oltre che al regista danese - e più che inoltrarsi nei meandri visionari del suo plot si limita a sondarne i risvolti psicoanalitici. Il pianeta speculare che si affaccia alla nostra atmosfera, che comunica con noi restituendoci nostri suoni e parole, è una chiara metafora della difficoltà infinita per l’essere umano di guardarsi, di scavare dentro di sé per espiare (nel caso di Rhoda) o per conoscersi meglio e aprirsi agli altri (in quello di John), tutta giocata sullo scontro tra gli abissi del Sé e quelli degli altri. Cahill sceglie il tipico approccio indipendente ammantandolo col tono curioso del coté fantascientifico, usando tutti i trucchetti di un certo cinema d’autore che si vergogna di affrontare i generi (e non che li usa per dire altro, come Tarkovskij o Kubrick), come scene poeticamente erotiche - la spoliazione nella neve - o giochini simbolici - lo specchio rotto, l’assegno intestato a Maid in Haven, cameriera di Haven, ma anche assonante a "fatta in cielo" - disturbanti per il modo in cui presuppongono l’ingenuità dello spettatore. Ma quello che convince meno è il modo in cui, al di là del racconto, Cahill si appoggia al modello Dogma o giù di lì: l’uso di orridi zoom repentini a sottolineare l’emotività, la macchina a mano che vorrebbe sporcare artificialmente il racconto pronto a ripulirsi con l’uso della musica classica nelle scene madri. Dispiace soprattutto perché, oltre la banalità dello sviluppo e delle idee, si intravedono le potenzialità del regista: lo sguardo teso e appassionato, la capacità di raccontare (come nella bella scena del cosmonauta e del rumore), e la capacità - fondamentale nel cinema che Cahill vorrebbe fare - di rendere vivi e credibili due personaggi scritti maluccio. Merito anche delle prove notevoli di Brit Marling e William Mapother: quasi riescono a convincere lo spettatore della forza del film, prima di un finale che dovrebbe sconvolgere e invece lascia più che perplessi. (Emanuele Rauco)
Trailer:
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