Bizzarro Cinema

Il Film

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Recensione:

Quando il diavolo gioca a fare il burattinaio.

Ci sono questioni che neanche la morte può aggiustare. Amori non corrisposti e finiti in tragedia, vendette e morti violente, solitudini e desideri che sembrano non conoscere limiti, così come lo sconfinato talento di Mario Bava, regista noto come padre dell’horror-gotico italiano, che però nella sua carriera ha saputo maneggiare con cura molti altri generi cinematografici, con un intuito quasi pionieristico. Nel 1972, con il film Lisa e il diavolo, il cineasta realizza una delle sue opere più complesse e personali dando sfogo ad una dirompente espressività artistica che scavalca gli schemi di logica narrativa, innalzando e sublimando in maniera innovativa il suo genio e la sua caratura stilistica.

La Lisa del titolo è una turista americana in vacanza a Toledo. Dopo aver ammirato un singolare affresco rappresentante un diavolo dalle fattezze molto antropomorfe - che secondo la leggenda ha il compito di “portare i morti” - la ragazza si allontana dal suo gruppo. Turbata e confusa finisce col perdersi. In seguito ad una serie di spaventose esperienze ed inquietanti incontri, quando è ormai calata la notte, la giovane raggiunge una villa diroccata e isolata, in cui viene accolta dal maggiordomo Leandro che ricorda in maniera impressionante il diavolo dell’affresco. Anche la stessa Lisa però somiglia molto a qualcuno e il suo arrivo turberà la pace sepolcrale dell’antica magione, dando modo alla diabolica presenza di andare a rivangare nel passato dei suoi abitanti e di fargli ripercorrere le turpi vicende delle loro esistenze... e della loro morte.

La storia si svolge come una macabra rappresentazione in cui passioni, gelosie, tradimenti e misfatti dei vivi e dei morti si intrecciano tra funebri rituali, omicidi e flashback, in una messa in scena degna del teatro dell’assurdo, dove la morte è protagonista indiscussa attraverso i lugubri fantocci perennemente presenti per tutta la durata della pellicola. Lisa e il diavolo, nonostante i pareri discordanti, è probabilmente una delle opere più suggestive di Mario Bava: riesce ad infondere, sin dalle prime sequenze (ambientate in una Toledo che sotto i nostri occhi si trasforma in un labirinto ostile, carico di tetri presagi), un discreto carico di tensione, che continua a divampare senza soluzione di continuità per tutto il film, sino a raggiungere l’apoteosi nel finale, un vero e proprio coup de théâtre. Grazie ad una sceneggiatura eccellente, all’abbondare di virtuosismi registici - tra cui bisogna ricordare l’uso del fuori fuoco contrapposto allo zoom e un’attenzione maniacale per fotografia e luci -, ad un montaggio volutamente instabile e a preziose inquadrature che sono veri e propri gioielli, lo scenario predominante della villa si carica di simbolismi e di un’atmosfera cupa, conturbante e onirica, che la trasforma in un mostruoso teatrino surrealista, un carosello barocco di cadaveri, manichini, morbosi ricordi e languidi sguardi. Il tutto animato dalla lodevole performance del cast. (Sarah Pompili)

 

 

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Una scena

 

 

Scheda del film a cura di: Sarah Pompili