Bizzarro Cinema

Il Film

Recensione:

Il futuro che regredisce

In un futuro regolato dalla repressione, quando la simbiosi uomo-macchina ha determinato un radicale intorpidimento delle qualità umane, l’uomo chiamato THX sembra essere l’unico a soffrire la rigidità di un regime desolante e condiviso tacitamente. Sorvegliati da androidi e intrattenuti da ologrammi, uomini e donne si attengono a una dieta a base di droghe, necessarie a inibire ogni tipo di pulsione e a prevenire l’emergere di iniziative personali. Ogni individuo è identificato tramite una sigla ed è assolutamente vietato fare sesso. Il colore bianco domina le pareti, gli abiti e gli oggetti, tutti elementi complici di un contesto colpevole dell’apatia e dello straniamento che ha reso l’uomo sterile, privo di sfumature emozionali. Nell’assuefazione generale, THX cova insofferenza, probabilmente l’unica spontanea forza motrice che lo condurrà verso il riscatto.

L’uomo che fuggì dal futuro è il primo lungometraggio scritto e diretto da George Lucas, tratto da un suo corto del ’67 dal titolo Electronic Labyrinth THX 1138 4EB. Il regista manipola il futuro esibendo un contegno profondo e polemico, e sebbene con un occhio rivolto a Fritz Lang, preferisce percorrere la via dell’essenzialità riducendo al minimale la scenografia, i dialoghi e persino lo score, fatto di rumori di fondo e un sottile tappeto sonoro davvero inquietante. Anche sul piano concettuale si assiste a un disfacimento del superfluo: l’iconografia sacra si riduce al ritratto di un Cristo che funge da chiesa, da confessionale e da presenza imbonitrice, mentre in ambito profano, ad esempio, il luogo di reclusione per i disobbedienti diventa uno spazio spoglio e apparentemente infinito, dove è impossibile scorgere una via d’accesso o d’uscita (ma che è pura libertà in potenza).

Non è facile scorgere dentro quest’opera prima il George Lucas di Star Wars, quello dei dialoghi sterili, degli scenari iper-accessoriati e dell’azione smargiassa. Solamente a posteriori è possibile riconoscerne l’interesse maniacale per il decoro, dato che nel 2004 Lucas approfitta della versione “director’s cut” per intervenire con la computer grafica su determinati elementi. La presenza di tali inserti ha forse il demerito di risultare ambigua, dato che non è ben chiaro dove l’apporto in CGI abbia valore correttivo (come nel caso dell’aggiunta di passanti nei corridoi), di aggiornamento (come le migliorie apportate ai veicoli), o se semplicemente sia servito a dare l’ennesimo sfoggio di tecnica (come risulterebbe dall’inserimento di dettagli negli scenari). Il film avrebbe potuto fare benissimo a meno di simili inserti, restando testimone di un fare creativo di cui oggi si sente tanto la mancanza. Ci mancano quelli come Lucas (prima maniera), capaci di inventare un cosmo e di tesservi all’interno un sistema inedito di valori e di relazioni umane, in grado di far percepire allo spettatore persino la profondità e l’assenza del nulla. (Roberto Fontana)

Trailer

Scheda del film a cura di: Roberto Fontana